martedì 28 aprile 2015

Sono Giorgio Paolo Troncon di Udine e ho appena inviato tramite facebook - e unisco anche qui - le mie note sul trapianto di fegato per le quali do il mio assenso alla pubblicazione come descritto non vostro blog cui plaudo per le ottime intenzioni di dare una aiuto a chi soffre il percorso del trapianto.
Cordialmente
Giorgio Paolo Troncon
Udine
Segretario AITF FVG 
 
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NOTE PER IL MIO TRAPIANTO DI FEGATO
Giorgio Paolo Troncon - Udine
Già qualche anno fa pensavo di scrivere e raccontare quello che è stato un periodo travagliato della mia esistenza ed ora mi sono accinto a scrivere questi ricordi del mio trapianto di fegato , a sessant’anni nel 2003, soprattutto per me e per mia moglie Adriana. Per ricordare, per riflettere e riprendere coraggio guardando alla vita con spirito rinnovato e positivo.
Prima di sapere che il mio fegato se ne era andato con la cirrosi il mio aspetto lasciava un po’ a desiderare. Non c’è stato nessuno che mi abbia detto che mi vedeva un pò malandato come invece tutti si sono premurati di farmelo sapere dopo l’operazione.
E’ chiaro che la sola previsione di un trapianto di fegato è un evento ancora difficile da comprendere per la sua eccezionalità. Come tanti altri fatti, se non vi riguardano da vicino, gli stessi non hanno quella importanza che assumono quando ti coinvolgono in prima persona,
Infatti durante la fase di attesa – ero già in lista – ho notato un certo rilassamento di rapporti in quanti conoscevo ma mi rassereno pensando che ne ho conservato alcuni ed ho ritrovato e, a dire il vero, anche rafforzato il legame con alcuni amici degli anni della scuola e della gioventù.
Tutto ha avuto inizio con i miei malesseri di primavera, inizio estate, del 2002 che con Adriana imputavamo a fatti familiari cui accennerò in seguito. Stanchezza,e disturbi vari che cercavo di eliminare con blandi sedativi o con farmaci (come aspirina) sicuro che fosse tutto riferibile ad un stato nervoso di prima categoria.
Fu un soggiorno in Val di Non, dove avevo rifiutato alcuni piatti di intingoli e mi sentivo abbastanza stanco senza un vero motivo, che fece da campanello. Non era da me rifiutare una bella porzione di cervo e un bicchiere di Teroldego.
Questo ha allertato mia moglie che mi ha imposto, al ritorno, dalla vacanza, di sottopormi a varie analisi del sangue e delle urine.
Valori sballati e necessità di approfondimenti sulla base anche di segnali degli esiti di anni precedenti che non erano stati oggetto di timori e di prescrizioni mediche particolari.
Si evidenziava che il fegato era un pochino malconcio, ma niente di particolare, se non l’invio a fare una ecografia ed altri esami specifici per le malattie del fegato.
Il radiologo passa e ripassa lo strumento ed ad un certo punto mi dice che ci sono segni evidenti di cirrosi.
Il mondo mi crolla addosso e penso a mia moglie che dopo aver visto morire il padre per questa malattia ora si trova il marito con la stessa probabilità.
Alcuni giorni dopo tornando dall’ospedale incontro alla fermata delle corriere l’amico Claudio che lavorava nella sanità regionale e spontaneamente gli racconto cosa mi stava succedendo e da lui ebbi risposte rassicuranti che mi riempirono il cuore e da quel momento mi fu sempre vicino.
Penso anche che sono passati tanti anni e che ci sono alcuni che conosco che sono in cura per altre malattie da diversi anni. Non mi capacito però della cirrosi
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perchè non pensavo di essere un bevitore accanito. Il medico mi disse di non farmene un torto perché la malattia non dipende soltanto dal bere ma anche da tante altre cause e dalle condizioni del fisico e degli organi di ognuno. Ci sono casi di cirrosi anche tra gli astemi.
Mi convince un po’ ma resto dell’idea di essere sfortunato e non capisco perché è capitato proprio a me che ho sempre condotto una vita assolutamente normale.
Un periodo infernale dove cerchi da ogni parte una soluzione che sia diversa da quella che ti è crudamente prospettata.
Leggi i giornali di salute, controlli le notizie su nuove tecniche e nuove medicine: Sono fatti illusori perché nella comunicazione dei giornali e della televisione ci sono notizie che sembrano risolventi il tuo problema, mentre sono solamente delle prospettive di ricerca dove hanno visto che in futuro si potrà fare sull’uomo ciò che in quel frangente è stato fatto sulla cavia o in laboratorio.
Su queste basi, credendo e sperando che da qualche parte ci fosse una soluzione, anch’io sono stato a farmi fare una visita da un luminare dell’epatologia.
Quando si è in mezzo ad una malattia incurabile si cerca sempre qualcosa che possa mutare la tua condizione.
Questo illustre clinico mi dette molta fiducia, al momento, minimizzando quanto avevo fatto fin allora e mi consigliò alcune modifiche di terapia da iniziare subito. Stetti male due giorni in una stanza d’albergo e appena possibile abbandonai lui e la sua città che peraltro tornerò a visitare visto che in quei giorni mi fu impossibile.
Le cellule staminali, altra notizia e speranza che viene propinata ogni piè sospinto, ti sembrano lì vicino pronte a risolvere facilmente il tuo problema.
Approfondisci la conoscenza e mestamente ti accorgi che siamo solo alle ipotesi confortate da qualche risultato di ricerca approfondita. La verità è che ci vorranno degli anni per i primi risultati sicuri per l’uomo.
La sola verità scientifica attuabile è solo quella che ti dicono i clinici che ti curano. E su questo mi rassicurò la Presidente nazionale delle infermiere Dr.ssa Silvestro, sorella del mio amico Gianluigi, dicendomi di non cercare altre fortune perché a Udine il Centro trapianti funzionava per il meglio.
La condizione fisica e mentale ha però degli alti e bassi che fanno sorgere aspettative e altre volte ti gettano nello sconforto.
Una illustrazione di questi stati d’animo viene concretamente vista da una pubblicazione, che ho trovato sul sito internet dell’Istituto Italiano Tumori di Milano e che è stata elaborata dalla Prometeo onlus con un progetto denominato: malattie epatiche, trapianti di fegato” che riporto integralmente:
---------- Aspetti psicologici ed emozionali legati all’attesa del trapianto--------
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Con l’ingresso in lista di attesa il timore di non poter essere idoneo per il trapianto ed alcuni vissuti emotivi legati alla malattia come ansia, paura, depressione o irritabilità lasciano il posto alla speranza di poter guarire grazie all’intervento. A volte, peraltro, la paura di non riuscire a sopravvivere ad un’operazione così lunga ed impegnativa prende il sopravvento e molto spesso ci si può trovare a vivere emozioni contrastanti. In termini tecnici, in attesa del trapianto, si può sperimentare un sentimento di “ ambivalenza “ che può essere spiegato dal sentire convivere nel proprio animo sia la speranza di vivere che la paura di morire.
Spesso lo stato di malattia non viene percepito come davvero grave, soprattutto se ci sono
pochi sintomi o poche restrizioni, ad esempio nella dieta. Ci si può trovare perplessi o poco inclini a considerare l’impegno altrui e i costi delle varie procedure e può subentrare una reale alterazione nella percezione della propria condizione di malattia che porta ad atteggiamenti di sfiducia verso la scienza medica e i suoi strumenti.
…..sto così bene che a volte ho pensato che magari la macchina della TAC il giorno del mio esame era rotta….”
Un’altra paura frequente può essere quella che le proprie condizioni fisiche peggiorino a tal punto da non permettere di arrivare all’intervento. Ciò può verificarsi soprattutto quando il periodo di attesa si allunga, anche in relazione ad eventuali nuovi sintomi. Questa paura può essere vissuta come un senso di abbandono da parte dell’equipe medica. La conoscenza dei meccanismi che regolano la lista e i tempi d’ attesa può agevolare la comprensione della propria situazione e riducendo i timori relativi all’essere trascurati. Altri eventi negativi quali, ad esempio, le chiamate pre-trapianto andate a vuoto possono influenzare negativamente questa sensazione.
…… quando mi hanno detto che il fegato non andava bene e sono dovuto tornare a casa, ho avuto
paura che non mi avrebbero mai più trapiantato……”
Durante il periodo di attesa, sia per il paziente che per i familiari, è difficile fare progetti concreti per il futuro. Essendo ogni attività concentrata sulla prospettiva del trapianto, diventa difficile concentrarsi su cose diverse dalla propria condizione. E’ però importante riuscire a mantenere le attività di tutti i giorni per meglio “integrare” nella propria vita l’esperienza della malattia e per equilibrare paure e speranze.
Nell’attesa possono apparire più apertamente i pensieri relativi al donatore. A volte il desiderio che la tanto sperata chiamata arrivi al più presto può dare origine all’idea che ci sia un rapporto causa – effetto fra lo sperare per la propria vita e l’evento della morte del donatore. Questa associazione psicologica può provocare sentimenti di colpa.
….. E’ importante ricordarsi che la causa di morte del donatore è un evento del tutto diverso e indipendente dalla necessità di un fegato da parte di chi aspetta il trapianto”
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Per ridurre le difficoltà incontrate durante il periodo di attesa, può essere utile per paziente ed i suoi familiari, incontrare persone già trapiantate che possono condividere pensieri ed emozioni e dare informazioni su molti aspetti legati all’intervento.
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Continuando con la mia vicenda debbo dire che ho cercato ipotesi e soluzioni diverse quando ero in cura alla Clinica di medicina dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine dove, dopo la sentenza dell’ecografia, la Dottoressa Manazzone mi prese in esame e dopo alcune terapie aveva trovato il modo di stabilizzare la mia condizione.
Debbo dire che dopo aver individuato la malattia si è approfondito il controllo sul mio addome e la pancia con la finale constatazione della presenza di ascite che aveva determinato la formazione una grande quantità di liquido che si è dovuto togliere. L’ascite era la causa della mia pancia gonfia e assommava a diversi litri ogni volta che veniva tolta,
L’ascite mi aveva colpito in conseguenza della disfunzione epatica e si ripeterà anche in seguito.
Guardare me era come guardare quelle foto dei prigionieri di guerra.
La Dottoressa però aveva trovato una sistema curativo che mi ha permesso di essere quasi normale per alcuni mesi.
Dopo alcuni mesi effettuando una serie di esami fu accerta che però la malattia non si fermava. Per quanto mi riguardava la fatica di stare in piedi oppure fare una qualsiasi cosa diventava sempre più improbo. Ad esempio da casa mia, situata vicino all’ospedale, per fare a piedi la strada che prima percorrevo in 10 minuti ora ci mettevo 20 ed anche 25 minuti.
Il peggioramento stava progredendo e quindi la probabilità di vita si restringeva a pochi anni, sempre che tutto andasse per il meglio altrimenti anche meno.
Qui bisogna sfatare una credenza molto negativa e cioè che il fegato può rigenerarsi:
Non è assolutamente vero! Quando un fegato è totalmente colpito da una malattia (tumore, cirrosi, epatiti etc.) non ha possibilità di ricreare condizioni che permettono la vita: è finito.
La prospettiva era molto negativa, se non nulla, per la mia sopravvivenza a lungo termine anche con le cure più appropriate.
Si poteva ricercare una via di uscita, senz’altro difficile da comprendere anche perchè aleatoria nella sua conclusione, con il trapianto dell’organo.
Così mi disse la Dottoressa, che penso e ringrazio ancora, assicurandomi che mi avrebbe messo in contatto con la Clinica medica universitaria, che a Udine era deputata ad esaminare i candidati al trapianto di fegato, per avere un colloquio sulla possibilità e sulle prospettive di un intervento.
Dovevo però dare un assenso verbale e per questo avevo bisogno di sentire mia moglie.
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Si è molto pianto quei giorni anche se reciprocamente cercavamo di farci coraggio!
Dissi di sì e allora. Dicembre 2002, incontrai il Dr. Giorgio Soardo il quale con tatto e molta discrezione umana mi prospettò la procedura per essere controllato per l’idoneità alla immissione in lista di attesa per il trapianto. Valutò che il percorso poteva iniziare da gennaio, dopo l’Epifania, con le prime visite indispensabili.
A Natale decidemmo di andare da qualche parte per cercare di pensare a qualcosa di diverso.
Scegliemmo Roma per le tante occasioni che offre in ogni stagione ed anche per le festività natalizie e di fine anno.
Devo dire che ho trasgredito la dieta senza sale per una pasta cacio e pepe e poco altro.
Durante una serata siamo giunti in Piazza Navona dove i romani si ritrovavano per fare festa con la famiglia, C’erano saltimbanchi e chioschi di ogni tipo e molti di questi offrivano in vendita diversi oggetti scaramantici e porta fortuna.
Abbiamo pensato: perchè no! E abbiamo adocchiato una piccola scopa che secondo la signora che ce la offriva doveva spazzare via tutti i mali. Anche queste piccole cose, se vogliamo ridicole, contribuivano a farmi sperare. Ora quella scopetta ci è sempre vicina e sta nella cucina, appesa vicino al vischio, con me ed Adriana.
L’inserimento in lista non è automatico o discrezionale ma segue un protocollo medico molto preciso e inderogabile.
Fu un mesto natale e cominciò un anno nuovo con prospettive molto nere.
A gennaio entrai in clinica medica universitaria e fui affidato al medico Dr. Esposito per le prime informazioni sul mio stato.
Mi impressionò la prima domanda: Quanto lontano fa la pipì?
Sembra un fatto ridicolo ma era importante perché me la facevo quasi nei piedi ma non avevo dato alcuna importanza. Le funzioni che da ragazzini ti facevano fare le sfide a chi la fa più lontano: si erano compromesse.
Mi ero accorto che stavo perdendo la peluria e che anche altre funzioni, tra le altre quella legata alla erezione, si erano degradate ma non ci avevo badato pensando fossero conseguenza dell’età.
Sembra strano che ci succedano fatti così evidenti ma che non osserviamo, certi come siamo di star bene. Io, infatti, andavo in bicicletta e con l’amico Pierino facevamo una quarantina di chilometri ogni due/tre giorni. Ci fermavamo prima di rientrare a bere un paio di bicchieri e raccontavamo che eravamo molto economici perché, fatti i debiti rapporti, consumavamo mezzo litro ogni cento chilometri.
Continuando la disamina posso affermare che dormivo saporitamente ed al mattino mi alzavo come un grillo e le funzioni corporali erano come un orologio svizzero.
Come poteva una pipì corta avere distrutto tutto questo.
L’aveva fatto comprendere al medico ed anche a me già quel giorno.
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Allora ho cominciato a porre la massima attenzione ad ogni domanda e ad eseguire pedissequamente ogni prescrizione. Ponevo anche attenzione ad ogni anche minimo mutamento del mio corpo.
All’inizio della malattia pesavo all’incirca centodieci chili e non ne risentivo una granchè. A dire il vero nell’ultimo periodo avevo un addome abbastanza pronunciato ma, pur avendo fatto qualche visita, nessuno mi aveva segnalato disfunzioni.
Dopo la scoperta della malattia la questione fu approfondita e si trovò che alcuni litri di sostanza liquida accumulati con l’ ascite erano la vera causa del rigonfiamento.
Non era solo quello ma c’era anche l’obesità da eliminare. Per quest’ultima mi fu consigliata una dieta che attuai rigorosamente fin a giungere i novanta chilogrammi che ho anche attualmente dopo l’operazione,
Ora però non attuo un regime particolare di alimentazione ma seguo esclusivamente l’unica regola che fa mantenere il peso nei limiti che sono congeniali alla mia situazione.
Mangiare poco e di tutto con parsimonia variando la categoria degli alimenti alternandoli nelle varie giornate. Dovessi seguire la fame che mi ritrovo salirei di peso in poco tempo. La varietà dei cibi invece mi soddisfa e quindi, unendo un po’ di volontà, ce la faccio.
Mi furono indicate alcune precauzioni terapeutiche. Tanto per esemplificare mi fu raccomandato di eliminare il più possibile i sale nei cibi e di bere non più di mezzo litro di acqua al giorno tenendo conto di non sommare minestre – per fortuna non mi piacciono – e fare molta attenzione ad un consumo eccessivo di frutta che naturalmente contengono acqua. Si sta avvicinando ed è stata estate.
Per il sale non ci sono stati impedimenti di sorta. Assai difficile è stato rimanere nei limiti fissati per le bevande anche in virtù del fatto che contemporaneamente dovevo prendere farmaci diuretici per combattere la formazione dell’ascite.
La malattia, pur bevendo una quantità ridotta di acqua, altera il sistema tanto da essere sempre in apprensione perché dopo un periodo, anche breve, che stai in piedi diventi gonfio e si nota soprattutto sulle caviglie che si raddoppiano nel migliore dei casi, almeno a me.
L’accorgimento per ristabilire le proporzioni e diminuire lo scompenso era quello di mettersi distesi con un cuscino o qualcosa di altro sotto i piedi di un’ altezza di circa 10 centimetri. Questo faceva bene ma rendeva più difficile dormire in quanto era necessario per un buon risultato di passare la notte con i piedi alti.
Per entrare in lista si deve e bisogna essere fiduciosi, pazienti e determinati perché la trafila è lunga, molto complessa ed altamente specializzata ed analitica.
Si fanno ogni sorta di prelievi, di radiografie, di analisi per bocca e retro, di anestesia, di respirazione, di cardiologia ed anche di psicologia.
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Se si prende una manuale per gli esami clinici penso che non ci sia uno che non viene fatto.
Si avvicinava il tempo di immissione in lista e sorgevano dubbi su come sarei stato nella sperata eventualità che tutto andasse per il meglio. Mia moglie preoccupata dai tanti problemi comuni che erano l’anticamera di una scelta difficile si chiedeva anche come sarebbe stato ridotto il mio corpo con una operazione così difficile e complicata.
Venne in soccorso un l’amico Sandro che mi presentò a sua volta ad un suo caro amico. Incontrai così Sergio Straulino, imprenditore e Sindaco di Sutrio, che era stato trapiantato a Padova alcuni anni prima.
Fu una ventata di aria buona perché lo trovammo agguerrito sul lavoro mentre stava discutendo con una squadra di muratori nella sua fabbrica.
Fu poi disponibilissimo a raccontarci la sua avventura e darci molti consigli che ci servirono in seguito. Alla domanda come ti tagliano l’addome per effettuare l’intervento egli non sprecò parole e ci mostrò la ferita rimarginata alzando la maglietta mostrandoci “de visu” il risultato.
Prendemmo la strada di casa con maggiore fiducia. Eravamo contenti.
La subdola malattia ha molte ramificazioni ed effetti imprevedibili ed anch’io ebbi, per fortuna senza conseguenze, un piccolo attacco di encefalopatia, precisamente a Grado, quando persi per un po’ la cognizione delle distanze con una difficoltà di parlare correntemente. Ero stato da un amico a Ruda e avevo avuto difficoltà con il suo portone di accesso nel valutare la distanza facendo retromarcia. Tutto sembrava chiudersi lì ma alla sera rientrando a Udine da Grado mia moglie si spaventò avendo io rifilato il guard rail di destra in una curva. Lo spavento mi desto e tutto si concluse.
Debbo anche dire che da quel momento ho posto più attenzione all’alimentazione che ho scoperto essere molto importante nelle condizioni in cui mi trovavo riguardo alla encefalopatia,
La pancia intanto stava nuovamente prendendo ampiezza per l’ascite ma l’uso di farmaci diuretici specifici mi consentiva di limitare , anche se non totalmente, l’eccesso di liquido.
Debbo onestamente dire che sono stato un ammalato con un decorso abbastanza tranquillo, se così si può dire.
Mi guardavo intorno e registravo di pazienti in attesa ricoverati da mesi, o altri con problemi ad altri organi che portavano anche a cure più complicate ed a ricoveri frequenti con perdita quasi totale del senso del vivere quotidiano.
La devastante epatite C era una delle cause più frequenti dei malesseri e delle complicazioni, seguita dai tumori e dalla cirrosi.
C’era un andirivieni di colleghi ammalati in lista, da diversi mesi ad un anno, magari perché dotati di un gruppo sanguigno particolare e raro ed i ricoveri erano necessari per arginare l’avanzare della malattia.
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Un mondo variegato che si sostiene e si accomuna nella speranza di tornare a vivere, dove i pazienti diventano amici con i medici e dove i medici e gli infermieri diventano confidenti essenziali di ogni ammalato e dei familiari.
Una grande umanità pervade questo ambiente.
Voglio qui anticipare un pensiero ed una constatazione che riguarda la componente infermieristica del comparto sanitario. Sono persone come tutti noi per cui possono avere degli umanissimi alti e bassi caratteriali ma dispongono di una professionalità ineccepibile.
Ho, durante il mio percorso terapeutico, avuto a che fare con Cliniche Universitarie e Dipartimenti dell’Azienda Ospedaliera operanti in ogni branchia dello scibile scientifico-sanitario.
Ci sono state poi le degenze in Day Hospital alla Clinica Medica e quelle relative all’operazione di trapianto nella Clinica di Chirurgia e nella Clinica di Terapia intensiva che sono state le più sofferte dal punto di vista umano perché determinavano la mia uscita dall’incubo della malattia.
Ho sempre trovato conforto e buone parole ma anche fermezza da parte delle infermiere e infermieri. Fermezza che a volte si scambia per burberia, ma così non è!
Il paziente per la sua condizione si sente l’unico ammalato degno di attenzione per cui ogni tanto reclama attenzioni anche non dovute.
Le infermiere hanno diversi compiti ed anche i loro pensieri personali , per cui a volte può accadere che ci sia incomprensione e lamenti.
A posteriori però ritengo doveroso ricordare a tutti che stanno eseguendo una lavoro impegnativo in modo egregio. In tutti i frangenti cui sono stato oggetto di cura gli infermieri e le infermiere non hanno mai mancato un controllo, una iniezione, una medicazione, le pillole e così via.
Al momento previsto erano lì presenti per cui le nostre arrabbiature non avevano ragione di esistere.
Passa il tempo delle analisi e dei controlli e giungo al loro termine nel mese di maggio quando vengo chiamato per la firma che precede la proposta dei medici per l’ inserimento in lista.
Vengo nuovamente reso edotto ed informato che la lista ha una sua casistica e delle regole ben precise che vengono scrupolosamente osservate e controllate dal sistema nazionale e regionale dei trapianti.
Per informazione e per chi vuole saperne di più, senza che stia qui ad elencarle, si può raccogliere ogni tipo di notizia sulle regole e sul sistema dei trapianti di ogni organo, anche tramite il sito web, facendo riferimento al Ministero della Salute ed al Centro Nazionale Trapianti www.trapianti.ministerosalute.it che sovrintende alle varie incombenze dei trapianti in genere e coordina le campagne nazionali sulla donazione e trapianto di organi, sangue, midollo e altri campi sanitari.
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Quel giorno con me c’era una signora che ha firmato anch’essa e ci dissero che bisognava avere pazienza perchè, questo sì è importante, da quel momento scattava la possibilità di essere chiamati al trapianto ma che l’attesa poteva essere anche lunga per tutta una serie di motivi ben descritti nelle istruzioni per i trapianti.
In quel periodo l’attesa media era di un anno e mezzo.
Ci dissero anche di tenere pronta una sacca con il necessario per il primo inizio del ricovero.
A posteriori posso dire che non serve niente in quanto quando si viene chiamati tutti gli adempimenti - come l’attesa, l’operazione e l’inizio del soggiorno in terapia intensiva - si fanno con il camice fornito dalla “ditta”.
Ricordo tutto questo della lista o perché dopo una mese andai ad una visita di controllo – le visite ed il controllo sono continui e specifici – e chiesi della Signora che aveva firmato nello stesso mio giorno e che non vedevo.
Ebbi una notizia che mi riempì di gioia: era già stata trapiantata in quanto si era reso disponibile un fegato adeguato al suo gruppo sanguigno che non era dei più correnti.
E controllo dopo controllo passavano i giorni.
Una sera di metà luglio all’imbrunire, alle 20 circa, ci fu la chiamata dalla clinica medica.
C’era in vista una donazione e, come da regole cui accennavo, la mia chiamata era di riserva al candidato principale.
Adriana stava preparando le “ polpette “ come piacciono a me e senza pensarci neanche un attimo lasciammo tutto per precipitarci alla clinica.
Mi sottoposero a tutti quei preparativi che erano necessari. Firmare le carte del ricovero perché è così che funziona. Analisi del sangue, anche per controllare l’eventuale uso di alcolici. Succede che a volte qualcuno in lista contravvenga alle regole pensando di farla franca ma non può sfuggire agli ultimi esami di conferma. Rasatura di tutte le parti e clistere per svuotamento dell’intestino.
Indossato una camice bianco mi misi in attesa.
Naturalmente con me c’era sempre Adriana e tra una parola ed un silenzio, un po’ seduti e un po’ distesi su un piccolo letto restammo ad attendere quale sarebbe stato l’esito della chiamata.
Parlavamo cercando di essere realisti per il fatto che la mia era solo una presenza di riserva.
Ogni tanto un’infermiera veniva a tranquillizzarci e ad assicurarci che tutto era normale anche perché proprio essendo di riserva era probabile che avessi dovuto tornare a casa senza fare l’intervento.
E così fu! La sera verso le 23.30 venne il chirurgo che ci spiegò con tatto e gentilezza tutto l’avvenuto e ci invitò ad andare a casa fiduciosi che ci sarebbe
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stata una bella prossima volta in cui potevo, salvo urgenze di altri ammalati più gravi, essere io il candidato al trapianto per cui mi avessero chiamato.
L’indomani la giornata passò ricordando quanto successo e con grande sorpresa – di nuovo all’imbrunire - ci fu una ulteriore chiamata, questa volta dalla Clinica di chirurgia.
Si prospettava un nuovo trapianto e questa volta toccava a me essere il primo.
Sempre verso le 20 mi catapultai in clinica, sempre con mia moglie a sostenermi, e rifeci la trafila del giorno precedente che si ripete sempre per una sempre maggiore tutela e sicurezza della riuscita dell’operazione .
Questa volta il cuore batteva una po’ di più , l’occhio era lucido e lacrimevole con le parole che stentavano ad uscire dalla bocca,
Sul piccolo lettino del reparto degenze della Chirurgia ci furono più silenzi e sospironi che parole. Eravamo stretti e vicini e questo ci dava fiducia reciproca anche se la paura, l’ansia non poteva essere che lievemente sopita per qualche attimo per tornare poi tumultuose nella mente.
Passavano le ore e il cuore sta entrando nella gola quando il chirurgo si presentò nuovamente davanti a noi, erano già le 6.30 del mattino, e ci disse che purtroppo dai controlli effettuati sul fegato del donante avevano dato segnali negativi e pertanto era pericoloso per un trapianto sicuro per il ricevente. Su questi risultati avevano dovuto rinunciare alla sua esecuzione.
Mi è un po’ crollato il mondo addosso ma in parte ero rassicurato perché la notizia di controlli così accurati davano più speranza per la buona riuscita del mio caso quando questo avesse dovuto succedere.
Due chiamata in due sere successive a circa 2 mesi dall’immissione in lista mi pareva un sogno.
L’attesa ora mi appariva più concretamente legata alle certezze di riuscita.
Dopo alcuni giorni in cui credevo di ricevere la chiamata, viste le precedenti, invece di tranquillizzarmi mi è scattata una sindrome ansiosa incredibile.
Telefonino cambiato in modo da esser più sicuro con un altro gestore lasciando a mia moglie quello vecchio. Procedura di trasferimento di chiamata con il telefono fisso.
A Grado dove mi reco da sempre – essendo nato e aver vissuto la mia infanzia a Ruda un paese lì vicino - in un piccolo appartamento siccome il campo dei telefonini viene invaso dalle onde telematiche di Croazia e Slovenia ho fatto installare il telefono fisso.
Ovunque andavo avevo sempre l’occhio al telefono. Sul Carso ho pranzato all’aperto perchè vedevo bene le tacche di ricezione mentre a Tarcento ho lasciato il locale dove volevo pranzare per una ricorrenza perché non c’era campo per nessun telefonino.
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Mi chiedevo come mai non c’erano più chiamate. Mi sembrava che tutto remasse contro di me. Due chiamate di seguito e poi il nulla. Mi era difficile comprenderlo.
Mia moglie era il mio riferimento e la spalla su cui mi appoggiavo che cercava di incoraggiarmi e di farmi comprendere che eravamo ancora molto lontani dalle prospettive di un anno e mezzo ventilatoci all’atto dell’iscrizione in lista.
Ad un certo punto mi svelò il suo desiderio di voler andare a Senale in Alto Adige in un piccolo santuario dedicato alla Madonna che avevamo visitato durante la vacanza in Val di Non, che era stata la vacanza che ci aveva preoccupato per la mia salute. Ci andò ai primi di ottobre.
Il 14 ottobre, sempre all’imbrunire, e sempre mentre si stavano - anche questa volta - preparando “ polpette “ un medico della clinica chirurgica mi allertò e mi disse di andare con la massima sollecitudine al reparto in quanto forse era giunta la mia occasione di eseguire l’intervento. Restavano sempre aperte le possibilità di rinvio e l’alea che avevo già provato. Dire che ci precipitammo è solo un eufemismo.
Ormai sapevo la procedura ed espletai velocemente tutti gli adempimenti e le azioni preliminari già provate nella chiamate precedenti.
Questa volta c’era anche l’indimenticato per me Dr. Sainz che mi sottopose , senza alcun obbligo da parte mia, la possibilità di aderire ad una sperimentazione post-trapianto della durata di tre mesi con prelievo del sangue prefissato ogni quindici giorni. Ho aderito ben volentieri perchè intanto era una prospettiva buona perché si parlava già del dopo operazione ed anche perché sono sempre stato convinto che la sperimentazione se non serve subito a te sarà fruttuosa per l’avvenire ed altri potranno stare meglio.
Sempre su quel lettino quella sera con Adriana eravamo quasi una sola persona tanto eravamo stretti.
Io pensavo che se non ce la facevo lei rimaneva sola e questo mi stringeva il cuore e lei mi faceva coraggio e sono certo che pregava e si faceva forza perché non mi abbattessi.
La notte passò così
Alle 7.30 del 15 si affacciò un’infermiera annunciandomi che bisognava andare e che tutto era pronto per l’operazione.
Per me fu un sussulto di sentimenti, di pensieri, di paura e di non so cosa altro.
Salii sul lettino con le ruote stringendo la mano di Adriana percorrendo alcuni corridoi sin quando l’infermiera le disse “Lei signora si fermi qui”.
La vedo ancora sulla porta della sala operatoria che mi saluta ed io mi chiedevo “Chissà se la rivedrò”.
Ricordo solo che c’erano alcune infermiere che mi sorridevano e mi preparavano dicendomi di stare tranquillo.
Poi fu nebbia e buio completo.
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Ora sembra che la nebbia si stia diradando e da lontano scorgo delle sagome, delle luci e un sordo rumore di sottofondo emanato dalle macchine che sorreggono la mia vita.
Una infermiera di cui vedo solo la sagoma mi saluta e mi da il benvenuto e mi sussurra:
“Sua moglie l’ha già vista ritornare e torna domattina”.
Allora realizzo che sono vivo e sono uscito dalla sala operatoria per la porta giusta:
quella della vita ritrovata.
Pian piano mi accorgo di essere circondato da strumenti che hanno luci rosse, blu e che danno suoni e bip di diverso tipo che sono gli strumenti che vigilano sul mio corpo. Intravedo nell’ombra una dottoressa che mi pare di conoscere.
Nella sala di terapia intensiva si perde la cognizione del tempo. Non ci sono le luci dalle finestre e non c’è alcun riferimento murale come un orologio.
Senti però vedi la vigile e assidua osservazione degli addetti alla tua rinascita.
Finalmente vedo un involucro di plastica verdolina che si avvicina ed è Lei: Adriana!
Ora sono certo di essere vivo davvero e piango di gioia. Penso anche lei ma non la vedo perchè ho gli occhi bagnati.
La rassicuro e le dico la pura e santa verità. Non sento alcun dolore fisico ed ho solo un pò di ossessione per le luci e i suoni delle macchine perché penso segnalino pericoli. Non è così perché segnalano fasi di lavoro, mi rassicura quella dottoressa che pensavo di conoscere e che realmente corrisponde alla sorella di una nostra vicina di casa che avevo intravisto diverse volte sulle scale.
Mi rassereno e chiedo di portarmi un orologio con le ore da 0 a 24 ben segnate per capire se è giorno o notte in quel luogo completamente asettico.
Tutto procede normalmente solo che nel togliere un tubicino si provoca una fuoriuscita violenta di sangue da una arteria che porta ad un aneurisma che complica i miei movimenti nel ristabilire la mobilità. La fasciatura molto stretta e dolorosa e mi costringe ad una posizione statica e quindi fa sì che debba prolungare di qualche tempo la mia uscita dalla clinica di terapia intensiva perchè per l’aneurisma deve essere trovata una soluzione.
Dopo una ulteriore ecografia il Direttore della Rianimazione d’accordo con i chirurghi decide di inviarmi in degenza normale al reparto di chirurgia.
E’ quanto aspettavo per il desiderio,che avevo espresso anche ai medici, di rivedere una finestra con la luce del giorno.
Lo ritenevo intimamente un segno di definitivo ritorno alla normalità.
La degenza in chirurgia è stato un periodo di ulteriori cure e terapie che mi hanno portato ad un assestamento delle mie condizioni.
Alcuni problemi di cui non mi ero accorto in terapia intensiva ora venivano a galla con le loro insite paure e problemi .
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Mi preoccupava per il fastidio e dolore che mi provocava un apparato esterno, attaccato al collo, che serviva per inoculare medicamenti e i prelievi del sangue e non so per cosa altro durante gli interventi di cura da parte di medici e infermieri. D’altro canto, avevo timore che si allentasse e quindi mi provocasse danno. E allora sopportavo e stavo zitto.
La gamba dell’ aneurisma mi faceva male perché avevo una fasciatura rinforzata e strettissima che mi impediva la ginnastica di riabilitazione tanto raccomandata, sin dal primo giorno di degenza, dai medici e dalla fisioterapista.
Mi dava preoccupazione il catetere che serviva per fare la pipi perchè avevo la sensazione che non scaricasse il liquido. A questo proposito una particolare preoccupazione veniva dal fatto che l’apparato genitale era diventato grosso come una pallone e pesava tremendamente.
Ciò provocava i sorrisi delle infermiere che mi assicuravano che era del tutto normale, della fisioterapista addetta ai miei problemi motori di recupero, dei chirurghi Dr. Baccarani, Dr. Sainz Barriga, Dr. Adani e Dr. Lorenzin capitanati dal Professor Bresadola sempre presenti ed attenti ai miei interpelli nonché ai medici della clinica medica Dr. Soardo e Toniutto che venivano a sincerarsi e a contribuire a trovare le migliori soluzioni per il mio decorso post-operatorio.
Mi viene ancora da ridere a pensare il buon amico Moreno ricoperto da una tuta di nylon con la maschera ed il cappellino che aveva aiutato mia moglie a portarmi il televisore.
Durante la degenza in chirurgia una giorno vedo affacciarsi una persona che mi saluta affabilmente. Era un caro compagno del Partito Socialista di cui era anche un dirigente.
L’amico Santino era ricoverato da molto temo in una stanza lì vicino per dei problemi veramente seri che gli erano stati provocati all’apparato digerente.
Aveva dei momenti della giornata in cui si poteva muovere e non appena saputo, da radio scarpa, che ero ricoverato si era fatto premura di venirmi a trovare e darmi conforto. Si offrì anche di prendermi il giornale che, purtroppo, non si trovava perché non c’era un rivenditore che se ne assumesse l’onere.
Ho un bel ricordo di quelle chiacchierate che abbiamo fatto.
Anche altri amici vennero a trovarmi anche se devo dire il vero avevo fatto dire di non venire perché mi stancavo, avevo poca voglia di parlare e non ero certamente un bel vedere.
Qualcuno opinava che neanche prima ero un granchè ma obiettavo che, prima, potevo rispondere per le rime.
In quelle giornate conobbi per alcune ore il dottor Trovò, medico anch’esso e di poche parole, trapiantato di fegato con un’operazione di alto livello per fatti collegati a problemi di sangue di cui pochi giorni prima del mio intervento avevo letto sul Messaggero Veneto.
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In un’altra stanza c’era Monetti trapiantato da alcuni giorni, disponibile al colloquio così come la moglie, che si dibatteva anche lui con problemi legati al recupero dello stato fisico. Si chiamava Giorgio come me, mi fece notare Adriana, e fu una simpatia spontanea.
La notte più intensa l’ho però vissuta con Omar. Un giovane ragazzo e marito con una figlia di quattro mesi che adorava.
Omar non c’è più. Non ha superato l’intervento.
Mi aveva raccontato la sua vita un po’ sregolata ma sempre buona con gli altri. Un carattere di ferro ma dolce nel racconto della sua rinascita per la moglie e per la bambina cui voleva dedicare tutta la sua vita ricominciando da capo.
Abbiamo parlato tutta la notte, era la mia ultima notte di degenza, e quando l’hanno chiamato per il trapianto ha avvertito la moglie. Ricordo ancora la gioia e la speranza di ognuno dei due.
Alcuni giorni dopo ero in clinica per il rituale controllo è ho chiesto dove era Omar.
Non ce l’ha fatta, mi dissero, e allora ho pensato che io sono stato davvero fortunato e che anche lui avrebbe meritato un premio come il mio.
In quei giorni mi è accaduto anche un altro fatto personale molto delicato e increscioso.
Poco prima della scoperta della malattia erano morti a distanza di pochi mesi i miei genitori che erano una legame da me molto sentito.
Purtroppo, come succede a molti, i fratelli si accapigliano per questioni ereditarie. Questa è successo anche a me pur se le rivendicazioni che si facevano era su una mia spettanza già acquisita in precedenza. Evidentemente è stato più forte per gli altri, nipoti compresi, il dettato egoistico e puramente venale della parentela acquisita.
Mia moglie nonostante i rapporti interrotti avvertì mia sorella sin dal ricovero e le prospettò, durante la degenza in chirurgia, la possibilità di venire a trovarmi senza presenza di estranei e quindi fraternamente memori dei tanti anni passati in buona armonia.
Era un’occasione per ritrovare una rapporto almeno tra fratelli.
Sto ancora aspettando qualcuno che ora non riceverei più. Ho un callo sul cuore.
Il mio cuore, invece, si gonfia di riconoscenza per quella persona o famiglia a me sconosciuta che con uno squisito atto di amore e di generosa solidarietà mi ha concesso di vivere una nuova vita.
La memoria di quel gesto umano ed esemplare rimarrà scolpita ed indelebile nella mia mente.
Siate certi che quando porto un fiore sulla tomba dei miei genitori quei fiori saranno sempre dedicati anche a colui o colei che mi hanno fatto rinascere.
Intanto l’aneurisma si era risolto senza interventi operatori e tutte le funzioni degli apparati avevano ripreso a correre ed anche le dimensioni dei genitali erano ritornate nella norma.
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Fu allora che il quadrunvirato dei bravi e simpatici chirurghi mi annunciò che potevo prepararmi per andare a casa.
Ci prese una frenesia ed un fervore che non può essere descritto. I ricordi più belli ti tornano alla mente, ma questo è più bello ancora.
Ci chiediamo, io e Adriana, se ce la farò a salire i 52 gradini che mi separano dall’ingresso alla porta di casa?
Non lo so ma anche a costo di metterci qualche ora, mi dico, ce la farò. Tornare a casa è un sogno che si è realizzato e non saranno pochi scalini a spaventarmi.
Saluto tutti con il nodo in gola e, medici, infermieri e pazienti mi salutano con un sorriso di compiacimento perché ce l’abbiamo fatta.
Salgo in macchina e mia moglie guida con delicatezza perché ogni sobbalzo è una fitta dolorosa ma chi se ne frega: vado a casa!
Ecco le scale. Un po’ incerto e ciondolante affronto il primo gradino e continuo uno dopo l’altro fino in cima.
Non mi sono mai fermato tanta era la spinta di entusiasmo che avevo in corpo e nella testa.
Adriana sorridendo mi segue incredula e poi apre la porta d’ingresso e guardando davanti a me trovo la sorpresa da lei preparata di uno striscione sulla porta del corridoio interno:
“ Bentornato a casa “ e via con baci e abbracci a volontà.
Mi sembrava di sentire un profumo intenso di sicurezza e tranquillità.
Da quel momento cominciava un nuovo corso del mio esistere.
Avevamo ripreso tutto con la nostra allegria e per prima cosa che ci permise di riprendere un gioco delle parti che avevamo sempre fatto.
Vista la mia, anche precedente, svagatezza, decidemmo che dovevo essere assistito da una infermiera di sicuro affidamento e che aveva già dato prova di efficienza quando avevo avuto l’ernia al disco.
Il consulto mi portò a scegliere la Signora “Brigitte” (leggesi Brighitte) soprannome tedesco di quella che poi è mia moglie nel ruolo assegnatole di infermiera inflessibile. Questo era il nome con cui la chiamavo affettuosamente per le questioni legate alla cura delle ferite ed alla somministrazione di farmaci.
Brigitte mi accompagnava alla visita di controllo ogni due giorni per il primo periodo con diradamento sino ad un ritrovato equilibrio fisico che i medici cercano attraverso il tuo costante monitoraggio.
Ora mi raccomandano di bere a volontà almeno due litri di acqua al giorno.
Posso mangiare di tutto con attenzione ai fritti e cibi che appesantiscono il fegato nuovo. Non costa molta fatica visto che le raccomandazioni valgono anche per la gente che si voglia alimentare con razionalità.
La regola-consiglio di non assumere alcolici è da rispettare senza defezione alcuna. Deve diventare una regola di vita.
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Le ridottissime capacità immunitarie prevedono, almeno per un paio di mesi, che si giri con la mascherina e quando ora vedo qualcuno con la stessa chiedo sempre se è un trapiantato.
Infatti mi disse una commerciante che mi conosceva, ma non sapeva della mia operazione, che mi era sicuramente successo qualcosa di importante perché solo i giapponesi girano con la maschera per l’inquinamento.
Non devi assolutamente fare sforzi perché si rischiano aperture delle ferite ed la fuoruscita di ernie molto pericolose. Per proteggere la parte operata si adotta l’uso di una panciera.
Tornando a casa la prima volta sentivo dei dolori abbastanza forti per i sobbalzi della macchina sull’asfalto della strada. Volevo però tornare a vedere, come nelle gite organizzate, la città e i luoghi che frequentavo e che mi sembravano delle mete stupende da rivedere con gioia e con ansia. Fu indispensabile e risolutivo il consiglio di passare a prendere ed indossare una pancera elastica aggiustabile. La pancera comprimendo delicatamente la zona addominale alleviava, quasi facendoli scomparire, i riflessi dei sobbalzi e mi permetteva di andare a zonzo per la città e dintorni.
La fase acuta della possibilità di rigetto si allontana e pur essendo sempre a rischio –per tutta la vita – ti muovi più speditamente.
Osservi e constati però che hai ripreso a fare pipì un po’ più lontano, non come prima ma insomma… le altre funzioni, anche quella erettile, stanno, man mano, ritornando alla normalità ed anche i peli ricominciano a crescere.
Non ho mai pensato di tornare proprio come prima perchè mi rendo conto di essere una macchina divenuta molto delicata e divenuta imperfetta ma tale è la letizia di esser qui a raccontarlo che penso solo ad andare avanti.
Il trapianto mi ha cambiato di molto il carattere.
Sono diventato molto poco attento al venale viver quotidiano soprattutto se legato al denaro, Sono sicuramente meno malleabile a concedere sconti nella valutazione delle persone che non ritengo degne di fiducia se hanno mancato nei confronti dei loro simili, che non è detto sia sempre il sottoscritto.
Una volta ammettevo anche il grigio ma ho visto che non serve. Alcuni valori che reputavo interessanti in precedenza mi sembrano uno spreco di tempo di fronte a quanto mi è accaduto. Ho rafforzato la mia volontà di essere utile agli altri per accadimenti simili o parificabili al mio.
Non comprendo perchè qualcuno voglia assopire la coscienza con atti di beneficenza internazionale quando intorno a noi, nelle nostre città e paesi, ci sono miserie infinite.
Forse aiutare i nostri vicini e compaesani costa più fatica ed è certamente più impegnativo della sottoscrizione di un conto corrente postale o dell’invio di un SMS che sembra farci più buoni e generosi con un prossimo che comunque non interessa conoscere.
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La cura post trapianto è perpetua, salvi pochi casi di superamento del rischio immunitario del rigetto. Per l’antirigetto assumi il prodotto prescritto (ciclosporina, prograf, cell cept, neoral e altri seconda del tuo bisogno) con pedissequa regolarità ogni giorno a distanza di 12 ore e sempre alle stesse ore. Ogni trapiantato ha la sua indicazione di cura che è strettamente legata alla sua condizione personale e non può essere generalizzata.
Questo anche quando si è in gita o in viaggio di soggiorno.
Ci sono poi, a seconda dei casi, le iniezioni di insulina per i diabetici, la pasticche per la coagulazione, la pillola per l’ipertensione e così via ad integrazione dell’antirigetto. Queste prescrizioni molte volte cessano con il decorso della convalescenza perché sono sempre legate la complesso dei farmaci che portano alla stabilità della vita nel post trapianto.
Una delle conseguenze del mio trapianto riguarda la mia sensazione al caldo e al freddo che ha subito un cambiamento radicale. Da sempre soffrivo il caldo e mi consolavo nella stagione fredda. Ora non è che adoro l’estate ma la sensazione di freddo è ormai dominante e a volte, d’inverno, mi vesto come gli esquimesi,
Il trapianto ed i farmaci che ognuno assume possono determinare anche la possibilità di dover combattere anche con forme di diabete e di ipertensione.
Non mi riguarda ma debbo dire che chi ha sofferto di epatite C, malattia che l’ha portato al trapianto ci sono molte probabilità che la malattia si ripresenti con il fegato nuovo.
Per i primi mesi dopo la dimissione ti muovi tra la gente con circospezione ed eviti contatti in luoghi affollati per paura, sempre latente, raccomandabile anche in seguito, di infezioni che hanno facile presa sul tuo fisico.
Dopo alcuni giorni che ero a casa Adriana mi propone un giro di città, naturalmente con la macchina.
Andare in macchina è divenuto più sopportabile, così come camminare speditamente, indossando una fascia elastica addominale e regolabile che riduceva il fastidio ed il dolore delle ferite sollecitate dagli sbalzi stradali.
È stata un’esperienza entusiasmante come fosse stato il primo viaggio. Rivedevo tutto quello che già conoscevo ma mi pareva più bello, più luccicante.
Mi sono, però, reso conto che in questi difficili frangenti il solo punto di riferimento sicuro su cui puoi contare c’è il “fai da te familiare”.
Ci sono fortunatamente, a dire il vero, anche le presenze degli amici più cari e più vicini, ma le decisioni sono solo tue!
Non ci sono brico per il fai da te né programmi telematici che possano soccorrerti su tale argomento.
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Ho trovato durante le mie ricerche e letture alcuni aforismi e modi di dire che mi sono sembrati consoni alla mia situazione che volevo ottimistica e allora li ho messi su di un foglio che ho titolato:
“ Storia di un trapiantato qualunque”
Sin dai tempi della scuola mi aveva colpito l’aforisma di Lorenzo il Magnifico che diceva: “Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia: di doman non v’è certezza.”
Poi un giorno la mia certezza di vita è svanita e per restare qui, accanto alla mia cara moglie, sono dovuto ricorrere al suo indispensabile aiuto, alla medicina ed alcune vecchie e nuove amicizie.
Altri hanno percorso la strada del trapianto ed altri si accingono a percorrerla. A tutti voglio segnalare alcune citazioni per continuare a vedere il mondo con ottimismo anche quando c’è
qualcuno, che senza ragioni “vere”, cerca di sottovalutarci.
Niente può darvi serenità se non voi stessi (R.W. Emerson)
Vedi tutto nero? Prova ad accendere la luce, innanzitutto. (PeeWee)
Ci sono momenti in cui tutto va bene; non ti spaventare , non dura. (J. Renard)
La nostra vita non ha bisogno di ingannevolezza
e di vuote opinioni, Come non essere ottimista!
ma di trascorrere tranquilla. (Epicuro)
I miei avversari si sono rivelati finora esattamente quelle canaglie che avevo sospettato. (S. Lec)
Nessuno scopo è, secondo me, così alto
da giustificare dei metodi indegni
per il suo conseguimento. (A. Einstein)
La sola obbligazione che mi incombe è di fare sempre
quello che credo sia bene. (H.D. Thoreau)
Se brucia la casa del tuo vicino, la cosa ti riguarda, e molto. (Orazio)
Avrai sempre quelle sole ricchezze che avrai donate. (Marziale)
Sono sempre disposto ad imparare, ma non mi piace sempre
che mi si insegni. (W. Churchill)
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Ottimisti e pessimisti si nasce, scettici si diventa. ( A.Morandotti)
Non sperare molto, e non temere affatto. (A.C. Swinburne)
Ciò che per il bruco è la fine del mondo In realtà è una bellissima farfalla. (Lao-Tzu)
Vivere è ancora la miglior cosa da fare, quaggiù! (J. Lafor
La vita può essere capita solo all’indietro, ma vissuta in avanti. (S. Kierkegaard)
La felicità è la ragione. (V. Brancati)
In conclusione:
Se oggi seren non è, domani seren sarà; se non sarà seren , si rasserenerà!
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Frequentando la clinica medica venni a sapere, da medici, infermieri e alcuni pazienti trapiantati che come me seguivano i rituali controlli anche dopo anni dal trapianto, dell’esistenza di una Associazione di trapiantati di fegato che aveva lo scopo di aiutare gli ammalati a superare le difficoltà del momento e altri compiti che scoprirò più avanti.
Tra l’immissione in lista, avvenuto trapianto e cure successive – per farla breve – in un anno e mezzo di frequenza non aveva visto nessun rappresentante di tale associazione.
Ho vissuto in tale occasione uno strana vicenda, prima personale e poi collettiva. In clinica circolavano voci su una inafferrabile e arrogante piccola signora rappresentante, con beneplacito di qualcuno, un’Associazione di Trapiantati
Con me si è fatta viva una sola volta dopo un anno e mezzo di mia frequenza della clinica, chiamandomi per la celebrazione di una messa di trapiantati.
Quando ho chiesto dov’era in precedenza mi rispose che non si faceva vedere per una questione legata alla privacy.
Obiettai che questa giustificazione non era valsa per la messa.
In seguito dai suoi comportamenti, e da quelli ancor più meschini di alcuni personaggi che sono ancora in circolazione sia nella struttura ospedaliera che nell’apparato della Regione. capii che non si voleva il confronto o l’inserimento di nuove persone ma solo mantenere uno stato “elitario” di pochi addetti tra loro amichevolmente uniti
Una sorta di Associazione monocratica con la convinzione di rappresentare in esclusiva tutti i trapiantati.
La mia scelta è stata allora secca e precisa a favore di persone sincere e aperte che ho trovato nell’A.I.T.F FVG. Vi invito a visitare il sito www.aitfnazionale.it
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Mi informai e mi fu indicato il fondatore della Delegazione della Regione Friuli Venezia dell’ Associazione Italiana Trapiantati di Fegato per la vita onlus – A.I.T.F. con sede in Udine Giulio Bassani di Tarcento con il quale presi appuntamento.
Avevo desiderio o meglio sentivo il bisogno di fare qualcosa per chi, trapiantando o familiare, avesse qualche difficoltà, paura o remora verso l’operazione per infondere quel coraggio che a volte viene meno e che in me si era rinvigorito a Sutrio con l’alzare dalla maglia di Straulino.
Telefonai ad un mio amico di Tarcento per chiedere dove abitasse Bassani e lui mi disse che in paese, anzi nella frazione di Loneriacco era un’istituzione, conosciuto e stimato e che aveva il soprannome di “Volpon”.
Con Giulio iniziò un percorso associativo che mi portò a conoscere tante persone trapiantate, tanti caratteri, tante storie personali, le tante preoccupazioni di ammalati e familiari. Una caterva infinita di azioni, sentimenti e sensazioni.
L’A.I.T.F FVG di Udine ha preso slancio prendendo varie iniziative marciando per dare sostanza alla scelta di lavorare a favore dei trapiantati come ammalati e come persone. Giungendo con orgoglio ad organizzare la manifestazione di Tarcento del 14 maggio 2006 – dove abbiamo voluto celebrare, alla presenza delle massime autorità mediche, infermieristiche, associative del volontariato e politiche il “ Decennale del primo trapianto di fegato del Policlinico Universitario di Udine”.
Una festa per i trapiantati ed i familiari, per l’Associazione e per tutti gli intervenuti per lo spirito di fraternità che si era creato.
Intanto ho appreso che i trapiantati di fegato nel policlinico universitario di Udine sono circa 450.
Ma molti si scordano di quelli trapiantati in altri centri. Lo stesso Bassani è stato trapiantato 12 anni fa a Innsbruck.
Ci sono poi nelle varie località del Friuli – Venezia Giulia persone trapiantate a Milano, Torino, Padova, Roma, Strasburgo e Berlino.
Ho avuto la grande fortuna e gioia di conoscere Carlo Maffeo Presidente nazionale dell’A.I.T.F.. che è per me un esempio fondamentale su come concepire ed attuare il volontariato a favore degli ammalati di fegato e dei familiari.
A 75 anni dopo 21 anni dal trapianto a Bruxelles guida ancora con forza e intelligenza la squadra A.I.T.F. con sede all’Ospedale Molinette di Torino e 14 Delegazioni sparse in tutta Italia ed una nel Regno Unito.
Quando lo chiamiamo in Regione ci raggiunge guidando la sua macchina, magari di ritorno con qualche medaglia conquistata sui campi di sci da fondo come alle recenti paraolimpiadi di Torino.
Frequentare tanti nuovi amici dell’associazione - per tutti nomino Amleto, Fabrizio, Laetitia, Livio, Elena, Giacomino, Edoardo, Antonio, Giannino, Giorgio, Giovanna,
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Nives, Benito, Renato, Giovanni di Donori in Sardegna, Pietro, Don Maurizio, Paola, Angela, Luciano ma ce ne sono tanti altri - è stato per me molto importante e lo auguro a tutti i trapiantati in quanto si confrontano esperienze e stati d’animo che pensavi esclusivamente tuoi ed invece capisci ed impari a condividerli con altri con grande sollievo e contentezza.
Tante storie, dicevo, e tante commozioni per la bellezza del ritorno alla vita in cui la partecipazione dei familiari stretti è un fatto bellissimo e radioso come per i figli di Luigi Magnabosco grande appassionato e praticante di ciclismo che sembrava dover abbandonare per la malattia.
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Dopo il trapianto il figlio hanno dedicato la poesia che segue:
… papà Luigi
Difficile è stata la salita che il destino ti ha fatto prendere
il vento ti ha sferzato in viso,
la pioggia ti ha violentato le gambe,
il lampo ha oscurato la tua vista,
il tuono ti ha bersagliato quando sui duri tornanti percorrevi la tua vita.
L’acqua che scendeva tra i tuoi capelli sempre più bigi,
colava sulle tue guance, rigandole,
attanagliandole in una morsa che ti toglieva il vigore dei tuoi anni migliori.
Ma hai resistito e sei salito del tuo solito passo nonostante tutto,
col rapporto agile e quella pedalata robusta che valica le montagne.
E quando le forze e le speranze cominciavano a mancarti,
hai visto la luce passare attraverso uno spiraglio fra le nuvole ad illuminarti la strada che quasi
ormai l’oscurità ti aveva precluso.
Il tuo spirito è risorto,
riemerso dal baratro in cui stava sprofondando
con un battito d’ali sei arrivato in cima,
hai sconfitto la salita, la fatica, le tue ombre e le tue paure, le tenebre e la solitudine in cui ti eri
inabissato.
… da Massimiliano al padre Luigi
A Pievebelvicino con la sorella Barbara.
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Tra questi nuovi amici voglio segnalare una presenza del tutto eccezionale di due donne forti e coscienti dell’importanza dell’aiuto che viene dalla donazione e pure in un momento tragico e difficile della loro esistenza, quando proprio stavano perdendo un loro caro, hanno acconsentito all’espianto degli organi per dare una nuova vita ad altre persone.
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L’amica Lidia Mauro De Antoni che con i familiari ha acconsentito alla donazione di organi di ben due figli che gli sono mancati a distanza di anni. Stare vicino a Lei ed al marito è un conforto continuo per chi è trapiantato. E l’’altrettanto cara Sara Niemis che ha preso la decisione per la figlia.
Più le si conosce e più diventa grande l’apprezzamento per la loro opera di diffusione, con l’ADO, nelle scuole ed in ogni dove, dell’idea provata di donare per far rinascere altre persone.
L’Associazione Donatori Organi A.D.O. FVG opera da più di trent’anni ed è un’artefice primaria del buon risultato raggiunto nelle donazioni nella nostra Regione.
Anch’io ho partecipato all’attività dell’ADO e nell’occasione della celebrazione del trentennale avvenuta nel 2007 mi è venuta spontanea la riflessione che riporto:
Testimonianza
Il logo dell’ADO (Associazione Donatori Organi del Friuli Venezia Giulia) e l’intestazione del suo notiziario hanno come simbolo e come riferimento la “Clessidra”, che diventa “d’oro” in occasione delle premiazioni dei benemeriti della donazione e trapianto di organi .
La clessidra , come già si sa, è uno strumento della misurazione del tempo che risale sino al tempo dei faraoni.
Il lento scorrere della sabbia dal bulbo superiore a quello inferiore determina la durata del tempo e solo capovolgendola il tempo continua a trascorrere.
Anche la clessidra della mia vita segnava lo scorrere dei miei giorni sino a quando mi accorsi che la sabbia era giunta quasi alla fine e che in nessun modo avrei potuto capovolgere la clessidra della mia vita a causa della malattia che aveva distrutto il mio fegato.
Il mio tempo stava per terminare ……..
C’era però da qualche parte una persona - uomo o donna non lo so - che sensibile alla vita degli altri, aveva fatto una scelta di solidarietà totale e inestimabile:
Donare i suoi organi!
Quella carissima persona, che aveva scelto questa pur difficile strada oppure la scelta era stata condivisa tra i familiari, con il suo dono mi venne in soccorso e mi permise di girare la clessidra che altrimenti non avrei mai potuto capovolgere.
Oggi sono qui a raccontarlo e per dire che ora la mia clessidra è fatta con il materiale più prezioso: la solidarietà umana.
Ho conosciuto l’Associazione Friulana Donatori di Sangue -AFDS e altre del Friuli Venezia Giulia e li ho molte volte seguiti ed apprezzati. Il sangue è una componente indispensabile perché possa essere eseguito il trapianto di organi. Il sangue serve prima a molti malati per essere posti, con le altre cure, nelle condizioni di poter essere trapiantati e ci vuole sangue in quantità nel momento dell’operazione chirurgica. Questo non può. come a volta avviene da parte di
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addetti ai lavori per così dire, essere dimenticato e va ricordato e riaffermato in ogni occasione.
Dopo il trapianto nasce in ognuno di noi il dilemma di rispettare l’anonimato del donatore oppure darsi alla ricerca della famiglia.
La clinica del trapianto è obbligatoriamente tenuta a non svelare l’identità del donante.
In certi casi o facendo riferimento ai necrologi del quotidiano locale oppure sulle notizie che danno i giornali- ad esempio nel caso della morte e donazione di organi del campione di bob Monti – si può risalire alla parentela di chi ha donato.
Personalmente sono per l’anonimato perché non sempre l’atto di donazione, che è decisione strettamente personale, è un atto condiviso e collettivo per la famiglia. In tal caso si potrebbe urtare la sensibilità di altri che è l’ultima cosa cui posso pensare.
Qualcuno afferma e dice che, invece, a lui piacerebbe sapere chi è stato il suo donatore anche solo per poter mettere un fiore sulla sua tomba.
Si comprende che l’operazione lascia in tutti i trapiantati uno strascico nelle capacità della memoria. Ci sono sprazzi in cui manca la capacità di ricordare che i familiari a volte ci fanno notare ridendoci sopra.
Ci sono delle persone che non vogliono far sapere del loro trapianto e quindi si chiudono nel loro intimo familiare rifiutando anche il colloquio con altri nelle loro stesse condizioni.
Qualcuno cerca di uscire da questo stato ma trova ostacolo negli interlocutori diversi dagli amici perchè incontrando persone al bar, in gita o per strada nel momento in cui qualcuno cita: il mio amico è trapiantato di fegato, si vede l’espressione della persona appena conosciuta cambiare totalmente quasi impaurita e incredula di avere davanti qualcuno che ha subito un intervento che appare strano perchè si era letto solo sui giornali magari solo in America.
Su questo noto alcune persone che fanno difficoltà a credere di questo cambiamento espressivo ma vi garantisco che il trapiantato lo percepisce anche se a volte il cambiamento è inconscio nell’interlocutore.
Ci sono poi le persone, anche tra gli amici, che stentano a comprendere la tua realtà e il cambio, a volte radicale, delle abitudini. Al bar, ad esempio, la frase che più mi irrita e mi da fastidio è l’ offerta di un calice di vino o uno spritz con la frase: “Cosa vuoi che sia per un goccetto! Faccio finta di niente ma sotto sotto dubito che l’interlocutore abbia veramente capito quello che mi è successo ma non posso ogni volta stare a spiegare e sorvolo con un sorriso a meno che il tale non sia recidivo.
Tra di noi ci sono i più svariati casi umani anche meritevoli di una loro storia particolare.
L’amica rumena, cittadina italiana, profuga politica con una storia incredibile alle spalle.
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La giovane trapiantata a 14 anni ed ora dopo 15 anni felicemente sposata che lavora presso l’università.
Amici che vengono dalla Sardegna, dalla Puglia, dal Veneto e da ogni dove che sono lieti di ritrovarci perché anche loro hanno lasciato alle spalle la malattia.
Si può tranquillamente affermare che ognuno di noi ha una storia e la storia di ognuno è per noi importante.
Il trapiantato e un elemento fragile sia dal punto di vista fisico che psicologico.
Fisico perché è conscio di essere soggetto a infezioni e complicazioni di ogni genere.
A volte salgono delle febbri che possono dipendere da tanto fatti: bronchiali, da virus o da, ad esempio, da occlusioni alle vie biliari che anche a distanza di tempo dal trapianto possono essere oggetto di un intervento per inserire un tubicino di aiuto.
Ci sono poi gli effetti collaterali provocati dai farmaci come un certo tremore che a volte si accentua e poi si ricompone. Qualche episodio di diarrea. A volte la pelle a macchia di leopardo diventa ipersensibile come quando ci si è leggermente scottati dal sole.
Riguardo la pelle intorno alle cicatrici dell’operazione e quindi quasi per tutto l’addome perde la sua sensibilità ai pizzicotti perché le nervature sono state recise e la loro ricomposizione avviene in ordine sparso senza collegamenti in continuità.
Si può esser colpiti da herpes sul corpo fatto che va subito segnalato al curante.
A proposito del taglio per l’operazione posso assicurare che quando in spiaggia, alle terme o in altri posti vedete una persona a torso nudo con la cicatrice che parte dallo sterno e che poco sopra l’ombelico si dirama leggermente inclinata verso destra e anche verso sinistra, circa come una T o una Y rovesciata, quella persona è quasi sicuramente un trapiantato di fegato.
Effetto psicologico che porta con sé le paure del rigetto, si gira sempre con le pastiglie in tasca, delle complicazioni di cui dicevo in precedenza (ne ho segnalate solo alcune), del timore che le funzioni non riprendano in toto e quindi di sentirsi diminuiti nelle capacità e conseguentemente del rapporto difficile con le persone. Tutto questo fa si che la psiche sia mantenuta in uno stato d’ansia abbastanza continuo.
Il trapianto per la medicina è un fatto ormai acquisito per la gente comune ancora no. Checchè se ne dica in giro!
Trovarsi tra di noi con i familiari e con alcuni genitori di donatori di organi rafforza il nostro modo di comportarsi di fronte alle difficoltà insite nel vivere dopo il trapianto.
Questa esperienze ci devono servire per aiutare chi ancora non ha avuto l’opportunità di stare insieme e sostenere chi si prepara a percorrere la perigliosa strada del trapianto.
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Il trapianto di fegato non è di facile attuazione e non è di facile assorbimento mentale e fisico dalla persona interessata però voglio concludere con nota i vera speranza.
A me e ad Adriana piaceva viaggiare e dopo il trapianto, con le mie pastiglie in tasca, abbiamo girato nel nord e centro Italia, Austria, Germania e siamo volati in Scozia, Irlanda, Svizzera, Lake District, Spagna e siamo arrivati sino in Giappone.
Con la dovuta cautela si può fare: non tutto, ma molto certamente!
Durante il cammino della preparazione per l’inserimento in lista veniva usato il sistema della degenza in Day Hospital che rende tutto più facile e attuabile senza che il paziente debba preoccuparsi di alcunché,
Anche dopo il trapianto ho avuto un tale periodo fino al superamento della fase acuta.
Prima, dopo ed anche ora si viene collocati in stanze adeguatamente allestite per le cure.
A volte ci ritrova in più di qualcuno ed il discorso è collettivo.
Altre ci si trova in due e i racconti diventano più particolari, specialmente tra chi aspetta e chi è già trapiantato.
Negli ultimi giorni, prima di iniziare a scrivere queste note, durante una visita di controllo o forse ero andato in clinica a trovare un amico trapiantato ed ho sentito un medico che parlava con un giovane, alla prima visita, e gli chiedeva: “ Quanto lontano fa la pipì”.
In cuor mio spero che quel ragazzo trovi una soluzione positiva e sia stato solo un allarme fasullo.
In quel momento in me è scattata la voglia di raccontare la mia vicenda per dire e sostenere che bisogna avere speranza.
Leggendo questa mie note qualcuno avrà ancora delle perplessità che posso capire ma bisogna spazzare ogni dubbio e non bisogna mai demordere.
Io, ve lo assicuro, sono lieto di averle superate ed essere qui a raccontare e di avere la possibilità di aiutare altri a superarle.
Giorgio Paolo Troncon
Ricordi dal 2009
Se oggi seren non è, domani seren sarà.
Se non sarà seren, si rasserenerà!

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